Di seguito, potete esplorare una selezione di testimonial che riflettono l’apprezzamento e il sostegno nei confronti del mio lavoro artistico. Questi testimonial offrono un’istantanea autentica delle esperienze e delle emozioni che le persone hanno vissuto interagendo con le mie opere d’arte.
Simulazione di un’opera appartenente alla collezione acquarelli ambientata in un angolo molto zen.
La collezione si può ammirare nel portfolio cliccando questo link
L’arte di Patrizia Martin Rossi trova la sua ragion d’essere soprattutto nella personale ispirazione. Le sue opere sono frutto di una ricerca filosofica e spirituale, prima che estetica. In ciò lei è stata sostenuta dal metodo steineriano che l’ha guidata nel suo percorso di crescita artistica. Questo le ha permesso di approcciarsi alla rappresentazione del mondo in totale libertà, senza quelle remore e quei pregiudizi che condizionano il comune pensare.
La personalità di questa artista sprigiona serenità e apertura mentale, insieme alla volontà di ricercare sempre nuove soluzioni.
Difficile, se non impossibile, trovare una definizione che classifichi univocamente Patrizia Martin Rossi. Sarebbe come voler fermare il flusso di una corrente che si evolve continuamente e di cui non si riesce a prevedere lo sbocco se non nelle tangibili proiezioni delle singole opere. Visioni terrestri, paesaggi reali o immaginati, personaggi di altri tempi, sogni, illusioni…
L’universo di questa artista sembra non avere limiti che non siano quelli della creatività. Una creatività che comunque poggia sulle basi concrete di una manualità consolidata e articolata su innumerevoli tecniche, dall’acquerello al pastello, dalla china all’encausto…
E dalla sperimentazione e commistione di queste tecniche scaturiscono risultati sorprendenti, che solo una mente libera può essere in grado di prefigurare.
L’istinto più che la razionalità indirizza questa artista nella propria produzione. Ma si tratta di una energia viscerale, tutt’altro che scomposta e disordinata.
In fondo le opere di Patrizia Martin Rossi sono improvvisazioni che nascono da un lungo e affascinante viaggio nei meandri dell’anima. E che all’anima ci riportano, sulla scorta delle emozioni che noi proviamo nell’ammirare le sue stesse opere.
L’essere artista per Patrizia Martin Rossi è una vocazione, un’esigenza imprescindibile che, a dispetto di alcune sue scelte di vita più “tranquille”, la accompagna ancora e costantemente. E le vocazioni, si sa, prima o poi pretendono di essere abbracciate anche a dispetto della razionalità.
Iniziata dal padre alle tecniche pittoriche, Patrizia inizia presto un percorso da autodidatta fatto di sperimentazioni che la portano ad ispirarsi alle opere di grandi artisti come Seurat e Klimt che lei reinterpreta soprattutto nell’uso del colore.
La sua maturazione artistica compie un deciso balzo in avanti quando viene a conoscenza del pensiero pedagogico di R. Steiner, secondo il quale l’arte vivifica ciò che è puro concetto e consente di risvegliare attraverso il creare artistico una umanità ricca di contenuti interiori. Accostandosi al vivente mondo dei colori, si cerca di fare sperimentare dunque, non solo con l’occhio ma soprattutto con l’anima, i sentimenti che essi suscitano.
Ed è il colore, dunque, lo strumento principale dell’espressionismo onirico di Patrizia. Un’esuberanza, una sensualità dei colori che elegge il colore a vero e proprio “codice”, a sistema linguistico autonomo e compiuto, dotato di una fonetica, una grammatica e una sintassi, nonché di un lessico utile per “dire”, per raccontare tutta la realtà.
Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, è necessaria molta disciplina per governare forze così poderose. Se i colori sono energie impulsive, centrifughe, tendenzialmente anarchiche, occorre concentrarsi sulle loro proprietà e formulare attente valutazioni per prevedere le loro reciproche relazioni e dominarne perfettamente gli esiti espressivi. Quando ci si trova di fronte alle opere di Patrizia Martin Rossi si ha proprio questa impressione: di un’enorme energia sapientemente controllata, meticolosamente guidata.
La forza del colore si amplia e si diversifica nella peculiarità delle diverse superfici, facendosi ora liscia e diluita, ora corposa e materica. In alcuni punti la densità della stesura pittorica crea volutamente inciampi visivi, e costringe a una lettura lenta, a riconoscere quei frammenti di “realtà” inglobati nella sostanza viva del colore e posseduti da esso.
Chi guarda però non può fermarsi a una degustazione ravvicinata della pittura: si perderebbe di assaporare la forza dell’intero, che non si esaurisce affatto nella celebrazione del colore e della sua forza. Per quanto possa giungere sulla soglia della pittura senza oggetto, Patrizia non si addentra mai in questo territorio, convinta forse della necessità “morale” del soggetto, sospettosa nei confronti delle derive contemporanee del concettuale.
A chi guarda è pertanto richiesta una “giusta distanza”: non troppo lontano, perché questo farebbe perdere quella complessità di scrittura e di stratificazioni, quella materia scabra e sofferta, che è fondamentale per comprendere la poetica dell’artista; non troppo vicino, perché questo annienterebbe la percezione del soggetto.
Esporre questi dipinti significa liberare narrazioni compresse, in attesa di dispiegarsi e di parlare a voce alta, così come l’esporsi ad essi significa essere disposti a un contatto potenzialmente destabilizzante.